SCATENI. Zagrebelsky graziato da Repubblica


Articolo pubblicato il: 01/10/2016 14:19:43

Che Renzi sia criticabile è nella prassi consolidata della democrazia interna al nostro Paese e i motivi per  contestarlo non mancano, ma che sia nel mirino di Repubblica è noto per lo più ai suoi abituali lettori. Probabilmente il premier  non è gradito al fondatore Scalfari, sicuramente al vicedirettore Massimo Giannini che si è armato del talk show “ballarò” per una campagna personale di ostilità che nemmeno il Foglio, Libero e il Fatto Quotidiano sarebbero stati in grado di imbastire. Pazienza, ogni testata ha il diritto di scegliere la linea editoriale, il giudizio politico su uomini e partiti, ma c’è un limite invalicabile alla libertà di giudizio ed è il rispetto per la verità. La Repubblica del giorno dopo il confronto che si è assicurato La7, mettendo uno di fronte all’altro Renzi e Zagrebelsky, sembra aver fantasticato senza aver visto e ascoltato i due competitori. E’ verosimile che ne abbia seguito solo una parte, dal momento che la trasmissione si è  conclusa molto tardi e il giornale deve chiudere in tempo per stampare e far giungere le copie in tutta Italia. Ne è venuta fuori un’equidistanza del giornale molto sospetta, un giudizio di parità che in modo macroscopico cozza contro l’esito del match televisivo e non analizza i punti caldi del dibattito. Obiettività avrebbe richiesto un verdetto di larga vittoria ai punti di Renzi e non è maligna l’idea che per il giornale diretto da Calabresi se così non è stato, si deve alla partigianeria in favore del costituzionalista, storico collaboratore  di Repubblica. In altre parole una benevolenza da parentopoli giornalistica. Senza entrare in dettaglio è apparso evidente, anche a chi di questi argomenti ha solo  un vago sentore, la solidità del premier nell’argomentare il “sì” al referendum per le riforma costituzionale, la conoscenza tecnico-politica dell’importante svolta istituzionale. Sul fronte opposto, un paio di clamorose cadute in contraddizione e alibi balbettati (non mi ricordo, si può cambiare idea, siamo vecchi), linguaggio criptato, divagazioni distraenti, arzigogoli, incertezze e soprattutto mira completamente sbagliata quando ha provato ad attaccare Renzi e il suo governo per  uscire con una tangente impropria dal tema della riforma. Il tentativo di unificare referendum e legge elettorale ( due cose distinte e separate) ha poi finito per rivelare l’errore del comitato nel designarlo a capofila del “No”. Quasi certamente non sarà il duello televisivo a decidere le sorti del referendum ma sull’esito della sfida non c’è dubbio. C’è da augurarsi che di qui al 4 dicembre le ragioni del sì e del no si confrontino con la chiarezza e la completezza che merita un appuntamento decisivo per l’Italia, magari con un promoter del no all’altezza, anche dialettica, del compito.

La pesca per nulla miracolosa della Raggi

Tanto tuonò che piovve, ma pioggia acida dal cielo di Grillo. La pochezza intrinseca al Movimento 5Stellea è come il fondo di una voragine che dove si arresta è il nulla: detriti, qualche esemplare di vita elementare sopravvissuta all’evoluzione delle specie, buio e silenzio assordante. Virginia, la Raggi sempresorridente  (???), dopo aver bussato a tante porte e aver ricevuto altrettanti “grazie, preferisco di no” rischia di cadere nel  baratro. Per uscire dal tunnel dell’incapacità a risolvere il rebus dell’esecutivo monco ha dovuto pescare nei suoi limitati dintorni. Come fosse il frutto di un’ineccepibile illuminazione  ha eseguito l’esercizio di maghi e maghetti del colombo che spunta dal cappello a cilindro e annunciato la fine del tormentone “AAA assessori cercasi”. Un’occhiata di raggio breve e ha inventato il titolare del bilancio. E’ Andrea Mazzillo, capo del suo staff (a 90mila euro), anche lui probabilmente sponsorizzato dallo studio Sammarco (Previti) . Dove sia  finito il precedente annuncio di puntare su personalità eccelse è inutile indagare, ma è lecito riportare l’inca…tura dei big del Movimento per i trascorsi dem di Mazzillo. Che sia una trappola della Raggi per ammorbidire il Pd?  Non meno discutibile è l’incarico alle Partecipate per Massimo Colomban che si definisce indipendentista veneto (tradotto equivale a leghista). Colomban si è candidato senza successo con Alleanza di Centro (Pionati)  in sostegno al leghista Zanda e confessa candidamente di non  sapere nulla di Roma e dei suoi problemi.  Su tutto incombe il caso della Muraro, pluri indagata che la sindaca  assolve così: “Aspettiamo di vedere le carte”. Ma i grillini  sono ancora quelli che  ipotizzando comportamenti criticabili dei pentastellati sanzionavano l’immediata espulsione?  E i romani si chiedono, usque tandem  Raggi in Campidoglio?

Luciano Scateni