Lo ammetto, ho trasgredito un paio di volte, come altri, alla promessa di risparmiare titoli e spazi di scrittura per raccontare la iattura dell’Italia finita nelle grinfie di un propagatore di odio e di un giovanotto sprovveduto, spinta da un atto di ribellione al renzismo e di censura al frastagliato pianeta della sinistra, dilaniata da contrasti interni, priva di un progetto a dimensione strutturale all’altezza della complessità della questione Italia. Gli eventi di questo scorcio di Maggio, che precede il voto per il parlamento europeo, dicono che non ho ragione di recriminare per aver derogato dal proposito di ignorare il malgoverno dei dioscuri Di Maio-Salvini. La trama fitta del tessuto mediatico, complessivamente impegnato a demolire il totem dai piedi d’argilla del sodalizio gialloverde, in questi giorni cruciali mostra di favorire l’incipit dell’auspicato rinsavimento del Paese. Si apprezza, tra mille segnali di deterioramento dell’asse Carroccio-5Stelle, il più che significativo arretramento della Lega nel diagramma dei consensi. Negli ultimi due mesi, lo dice un sondaggio commissionato dal quotidiano la Repubblica, il termometro del gradimento racconta di un meno 2,2 percento per Salvini. In regressione anche il grillismo, un punto in meno. Prosegue, seppure in misura ancra no rilevante la crescita del Pd, con un più 1,4 percento. Sullo sfondo, con il crisma dell’incertezza, è folto il popolo degli indecisi, un terzo dei potenziali elettori. Promette bene, è di buon auspicio il piglio belligerante di Salvini e Di Maio, che sale di tono con violenza reciproca, fino all’auspicato scontro finale da cui escano entrambi con le ossa rotte. Segnali, a conforto di questa prospettiva non mancano. La Lega si lecca la ferita del defenestramento di Siri, che Salvini ha provato inutilmente a salvare, il verboten del ministro dell’interno ai salvataggi in mare di migranti sono provocatoriamente ignorati da Di Maio, il blocco dei porti imposto arbitrariamente dal Viminale non è preso in considerazione, la Raggi sfida il fascismo di Casa Pound, in aperta solidarietà con la famiglia rom a cui è stata assegnata regolarmente una casa popolare e che papa Francesco accoglie fraternamente. Il Salone del Libro di Torino espelle lo stand di Casa Pound che promuove l’autobiografia di Salvini e la magistratura invia un avviso garanzia all’editore, per le sue dichiarazioni fuori legge: “Sono fascista, Mussolini è il migliore statista dell’Italia, il vero male del Paese è ’antifascismo”. Il ministro dell’Interno prova senza esito a difenderlo. Scoppia il caso della cannabis “leggera”. Salvini vorrebbe chiudere i negozi che la commerciano, i cinquestelle si oppongono, Conte, oramai apertamente schierato con Di Maio, dichiara che i negozi non si chiudono. Il Carroccio non ci sta a subire e stila una lista nera delle inadempienze grilline, di veti sulle autonomie regionali, il blocco dei cantieri, il Tav , le trivellazioni, la castrazione chimica, gli appalti di piccola entità assegnati senza gara, il freno sulla flat tax e un’altra serie di avance leghiste in stallo per i “no” dei grillini. La resa dei conti, lo capiscono anche i bambini, è solo rinviata e per due evidenti ragioni. In cima all’anomalia di questa tregua armata c’è la terrorizzante prospettiva di deputati e senatori di riuscire a conservare lo scanno di Montecitorio e Palazzo Madama dopo una consultazione elettorale che ridurrà il numero di eletti da più di 900° a 600. Il secondo motivo per rinviare ogni cosa a dopo il voto del 26 maggio è nel dubbio amletico di Lega e 5Stelle sulle future alleanze post divorzio dei gialloverdi. Salvini non avrebbe i numeri per governare con un’accozzaglia di centrodestra e men che mai Di Maio, dopo aver oscurato l’orizzonte di un’alleanza con la sinistra, denigrata e insultata.
Cosa speri Zingaretti, che scommette sull’opportunità di andare a nuove elezioni, è uno di molti misteri della politica italiana. Esaminata nel medio periodo, medio perché la democrazia del nostro Paese è giovane, la cronologia degli eventi racconta la sciagura del Ventennio, il fenomeno premonitore dell’Uomo Qualunque, il dominio della Dc asservita dal piano Marshall in poi alla grandeur degli Stati Uniti, i tentativi stroncati di colpi di Stato, il caso “Mani Pulite” che ha coinvolto il socialismo craxiano, l’ostracismo dell’ideologia del compromesso storico tessuta da Belinguer e Moro, la stagione del terrorismo, l’onda nera delle mafie, la seconda e ora terza Repubblica, il problematico sodalizio della Ue, l’incosciente consegnarsi del Paese al sovranismo leghista, il proliferare di rigurgiti fascisti che l’Italia si era illusa di aver seppellito per sempre.
Convivono, in questo magma indistinto delle sinistre, il Pd edulcorato da presenze moderate, estranee alla storia del partito, scissioni, distinguo politici interni, veri spartiacque, empiti esterni del tipo “Leu”, “Potere al popolo”, “Nuovo partito comunista”, fuoriusciti senza patria, agnostici, indecisi, scontenti, nostalgici, idealisti sognatori, disillusi depressi, rivoluzionari di “armiamoci e partite”.
Stazioniamo smarriti in questo pianeta, come incudine alla portata di possenti martelli nelle mani di padroni del mondo, sempre più arbitri del futuro quali sono gli Stati Uniti di Trump e la Cina di Xi Jinping, del nostro essere gnomi, per di più mossi come marionette senz’anima da sottospecie di burattinai acefali. Uscirne è da epopea cosmica, al momento illusoria come un miraggio in pieno deserto. Non per questo il 26 maggio è meno importante votare e bene.
Luciano Scateni
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