Brachetti, famoso trasformista? Un dilettante. Il “Ce l’aveva duro” Salvini sfoggia una collezione di felpe in assonanza con i luoghi dove conciona e s’immortala con selfie da postare sui social. In val Brembana indossa la numero 1, che reca la scritta “Secessione”, a Milano la numero 2: “Con il Carroccio, prima gli italiani”, via viale altre. A Roma la “Noi con Salvini”, a Napoli “Salvini per il Sud”, a Palermo “Siamo tutti siciliani”. In veste di razzista xenofobo, di minaccioso giustiziere di migranti e di chi li accoglie, sfoggia un completo da poliziotto. Se incontra rappresentanti delle istituzioni italiane o europee si presenta con il camicione fuori dei pantaloni, se va allo stadio dichiara la fede milanista con la felpa della squadra del cuore, se presenzia alla prima della Scala, costretto dalla tradizione, esibisce lo smoking. Nell’intimità, come ha rivelato la foto pubblicata dalla Isoardi, non indossa nulla e mostra, con sprezzo per l’estetica, i chili di troppo messi su con pranzi e cene, dove abitualmente elabora la politica del governo.
Da molti incontri gastronomici è però esclusa la seconda metà del governo gialloverde, da conviviali bellicose dove il ducetto Salvini concerta con i luogotenenti come minacciare l’alleato grullino. La sintesi? “Di Maio parli pure, decido io, in Italia non arriva proprio nessuno. Porti chiusi, sbarrati. Giusto che Di Maio parli e che dica il suo pensiero. E va benissimo che parlino pure Fico e Di Battista e che si discuta tra di noi e con il premier Conte, ma in materia di migranti quello che decide sono io”.
L’ “Incompiuto” Di Maio, con Fico, a due voci prova a resistere “Non lasceremo donne e bambini in mare”. E’ indotto al pietismo da un moto si solidarietà? Più verosimile è la motivazione di politologi sgamati. Sostengono che anche per il vice premier grullino la paura fa novanta, che senta sul collo il fiato di una trentina tra deputati e senatori ostili alla xenofobia salviniana. L’estemporanea dichiarazione di solidarietà del vice premier pentastellato è in ogni caso discriminatoria. Donne e bambini da sottrarre all’odissea di giorni e giorni nel mare in tempesta, va bene, ma gli uomini, che non cita come soggetti da salvare? Che crepino di freddo e malattie?
L’unione fa la forza. Ai sindaci che per primi hanno respinto al mittente il decreto sicurezza, si associano altri primi cittadini e governatori di regioni, inizialmente titubanti. A convincerli contribuisce il lavoro di amministratori che con l’aiuto di esperti preparano ricorsi alla Corte contro l’incostituzionalità della legge. Salvini: “Protestano, invece di amministrare le città (!), altri capiscono che il decreto rende più facile il loro lavoro (è esattamente il contrario, ndr) e più sicura a vita di tutti (è esattamente il contrario, ndr). Il truce ministro dell’interno, abdica al dovere istituzionale di dialogare con le controparti. Rifiuta di incontrare i sindaci antidecreto, che Conte accetta di vedere, con questa insolente dichiarazione: “Non si può parlare con chi non conosce la materia. Si vede che alcuni sindaci, non hanno letto il decreto. Altrimenti non direbbero quello che dicono".
A proposito di sindaci che apprezzano la legge sulla sicurezza. Il Pd chiede a Dipiazza, primo cittadino di Trieste che faccia dimettere il suo vice, il leghista Polidori, recidivo in azioni anti migranti. Con un post su Facebook si è vantato di aver gettato in un cassonetto dei rifiuti le coperte di un senza dimora. Marcucci, Pd, vuole che si accerti se il comportamento del vice sindaco è passibile penalmente: “E’ un attentato alla salute e alla vita di una persona, che si trova in condizioni precarie. Un vicesindaco dovrebbe preoccuparsi di trovare un rifugio caldo per tutti quelli che non hanno un tetto, non di gettare le coperte nella spazzatura”.
Luciano Scateni.
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