Lo tsunami del populismo si abbatte con onde di stratosferica altezza e pericolosità sulle quote di mondo che vedono in pericolo l’affare del secolo, battezzato globalizzazione dai poteri forti della finanza mondiale e progettato per agevolare la crescita esponenziale della ricchezza di pochi sulla pelle delle crescenti povertà. Gonfiare il mare, con impeto devastante, è compito di focolai tumultuosi del magma della destra multicentrica che sembra trasmettersi come un’epidemia nei cinque continenti. Il caso Trump svela con maggiore virulenza quanto contagia i due emisferi della Terra. In Cina la memoria dei libretti rossi, della rivoluzione culturale, del comunismo ideologico, sono finiti nella tomba di Mao, a riposare in pace e nuova potenza mondiale cresce sulla pelle lavoratori, ridotti in schiavitù, per ritmi di lavoro disumani e retribuzioni da fame. Di contro i re Mida di quello sterminato Paese usano ricchezze miliardarie per fagocitare industrie, banche, eccellenze della moda e perfino squadre di calcio del pianeta occidentale. Rigurgiti della destra razzista e autoritaria piantano bandierine in mezza Europa e assediano il cuore del Vecchio Continente. A sud il tiranno turco Erdogan reprime il dissenso con metodi fascisti, vende armi all’lsis, cinguetta con Putin con frasi di viscerale feeling e proseguendo nell’approssimazione a Bruxelles che nell’ansia espansionistica ha tirato dentro residui dell’ex Unione Sovietica governati da uomini della destra in Ungheria, Polonia, Slovacchia, Austria, fino a trasmettere il virus ai Salvini, La Russa, Meloni, alla parte più retrò di Forza Italia e del centro moderato, a Marine Le Pen, alla May del Brexit, a pezzi di Paesi del Nord Europa. Per semplificare senza perdere il valore dell’avvertimento è allarme per la democrazie del mondo. Preoccupa la premura di uomini di governo, scrittori, giornalisti, uomini e donne dello star system, schierati fino all’altro ieri contro Trump, l’uomo nero della contesa per la Casa Bianca e il giorno dopo del suo successo in gara per l’oscar del primo a congratularsi, a dichiarare disponibilità per rapporti di sana e leale collaborazione, in chiara contraddizione con le censure preventive a proclami razzisti. di autarchia economica e politica. Scompaiono rapidamente le cicatrici del vulnus provocato dall’elezione di Trump ma contemporaneamente monta la protesta di quanti non hanno metabolizzato l’evento e tanto meno il buonismo di Obama, della Clinton. E’ sollo l’inizio di una contestazione rabbiosa, indignata, a tratti violenta. Turbolento, imponente il corteo che a Manhattan ha manifestato contro il tycoon in Union Square, nella Fifthy Avenue e a Columbus Circle. Scontri con la polizia, trenta arresti e grida “Not my president”, “Donald Trump has to go”. Proteste anche a Oakland, California, Los Angeles, Seattle, Philadelphia, Boston, Portland, Austin, in risposta all’irricevibile e poco credibile “Sarò il presidente di tutti gli americani”. Una pere tutte le linee programmatiche del neo eletto anti Isis: “Occupare le aree ora sotto il controllo dei militanti e “prenderci il loro petrolio” e farli cagare (pardon per chi legge) a forza di bombe”. La tesi di Trump ridimensionato nel turpiloquio per responsabilità istituzionale è subito smentita, non la il qualunquismo populista di Grillo che vira di bordo per evitare di confrontarsi con il peggio della proposta di governo del tycoon e con un gioco di prestigio prova ad accattivarsi le simpatie elettorali di italiani sprovveduti propinando loro la mistura ipnotica di un neo presidente rottamatore, compartecipe del “vaffa” 5 Stelle. E’ una cosa di destra, come pensa la sinistra o populista, in sintonia con il tifone destrorso che soffia su mezzo mondo?
Onida, l’illustre bocciato
La terza bocciatura di ricorsi presentati da “quelli del NO”, ultimo quello dell’eccelso costituzionalista Onida, chiude il capitolo di una velenosa polemica avverso alla formulazione del quesito referendario sulla riforma costituzionale. “Non lede la libertà di voto” dice la sentenza del tribunale di Milano. Capitolo chiuso e coda tra le gambe di Grillo e compagni di contestazione. La sentenza: “Il diritto di voto non pare leso dalla presenza di un quesito esteso e comprensivo di un'ampia varietà di contenuti. E’ del tutto evidente che competerà a ogni singolo elettore formulare una valutazione complessiva di tutte le ragioni a favore e di quelle contrarie di tutte le parti di cui è composta la riforma”. Onida sosteneva che la singola domanda sulla scheda non lasciasse ai cittadini la possibilità di esprimersi sui molti punti della Costituzione modificati dal decreto legge Boschi: “Con un quesito così eterogeneo non si rispetta la libertà di voto degli elettori” recitava il ricorso bocciato”.
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