Sbagliare si può e la prima volta si assolve benevolmente il peccato, ma persistere, lo dice il popolo, è “diabolico” e Ancelotti deve correre ai ripari. Il Napoli regala al Genoa i primi quarantacinque minuti e un gol, non è un caso isolato. Dov’è il problema? In un insieme di concause: sottovalutazione dell’avversaria, reduce da disavventure a ripetizione e di conseguenza poca determinazione, poca grinta, disordine, zero armonia tra reparto e reparto, distrazioni difensive.
Juric deve difendere la panchina e sceglie, non si può dargli torto, l’assetto di unl Genoa prudente, con la difesa a cinque e l’aiuto dei tutti gli altri, ma pronto a improvvise percussioni che gli azzurri affrontano in affanno. Benché lontano dallo standard di abituale autorevolezza, il Napoli ha pur sempre un talento puro qual è Insigne, che al 12°, in mancanza di gioco corale, inventa un gran tiro da quasi trenta metri. Il palo gli dice no. Otto minuti più tardi, il muro difensivo degli azzurri si sgretola. Il Genoa se ne va in contropiede, ha l’opportunità di crossare per tre volte liberamente e al terzo tentativo Romulo trova la testa di Koaumé, lasciato libero di colpire da Hysaj. Uno a zero Genoa. La carburazione del Napoli è lenta e un solo episodio manda in fibrillazione il gran cuore della curva riservata ai napoletani. Al minuto 36, azione perfetta sull’asse Insigne, Callejon, Milik e miracolo di Radu. Piove su Genova, ma per un tempo il campo tiene. Al rientro Ancelotti tira via Zielinski e Milik, il primo non è nella sua forma migliore, il secondo è poco presente al centro dell’attacco e si affida a Mertens e Fabian Ruiz, che lo ripagano ampiamente. O perlomeno che gli danno ragione. Qualcosa in meglio cambia, fino al momento in cui su Genova viene giù il diluvio. La fascia destra del campo è più simile a una piscina e altrove è semi praticabile. Chi è destinato a soffrire è la squadra con tasso tecnico più elevato, che, organizza le strategie offensive con trame fitte e veloci, cioè il Napoli. Quando la pioggia diventa una bomba d’acqua e il pallone s’inabissa nelle pozzanghere, il signor Abisso spedisce tutti negli spogliatoi. E’ il minuto 13. Se la legge degli interessi che ruotano intorno al calcio non prevalessero, la partita sarebbe finita lì e rinviata. Non va così. Smette di piovere e il gioco riprende. Il gioco? Si fa per dire. Il Napoli, tornato a ritmo e qualità abituali, plana nelle zone di campo ancora intrise d’acqua, ma eroicamente prova a sventare il rischio di perdere altri punti nei confronti della Juve. Nell’arena, pardon, in campo, emerge un gladiatore di nome Fabian Ruiz, E’ lui a cambiare l’inerzia della partita, è lui che al minuto 62, si fionda in area di rigore rossoblu e al volo spedisce alla sinistra di Radu un missile terra-terra. Il gol dell’uno a uno nasce da una magia di Mertens, che con un tocco geniale gira allo spagnolo l’assist vincente. La partita, se sempre così si può chiamare, è solo un batti e ribatti da una pozza d’acqua all’altra, con il risultato di inzaccherare i ventidue in campo più arbitro e collaboratori. Calcio non è. Gli unici pericoli possono arrivare dai calci da fermo. Per il Genoa è fatale la punizione assegnata agli azzurri quando mancano due minuti al novantesimo. E’ di Mario Rui l’intuizione del modo più efficace per sfruttare le condizioni del campo. Un rasoiata a filo d’erba, che si velocizza e piomba in piena area di rigore. Sul pallone si avventa Albiol, Biraschi nel tentativo di contrastarlo, tocca il pallone quel tanto da trasformarlo in autogol. Napoli 2, Genoa 1, ma in fine di una partita falsa, da sospendere, a prescindere se in qualche zona del campo il pallone rimbalzava (a stento). A proposito, che bello giocare in uno stadio con tifoserie di Genoa e Napoli gemellate. Neppure un insulto razzista.
Luciano Scateni
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