Articolo pubblicato il: 31/10/2016 10:32:33
Hanno danzato nell’aria per una mezz’ora i lampadari di casa, ma niente di più che apprensione e un immediato moto di solidarietà per gli italiani dell’area interessata degli Appennini feriti dalla terra che si spacca per effetto di processi inarrestabili. Erano le sette e quarantuno e in quel momento con la televisione accesa per sapere come si era svegliato il mondo, la coraggiosa conduttrice del Tg che ha tremato per la scossa 6.5, ha informato il suo pubblico che tra le Marche e l’Umbria il sisma aveva colpito ancora e con violenza maggiore. Il poi è stato raccontato da radio e telegiornali, il più completo quello di Sky con uno speciale che ha mobilitato inviati, esperti, uomini impegnati nei soccorsi, responsabili istituzionali della protezione civile, vigili del fuoco, sindaci, rappresentanti del governo. Il poi è il calvario dei centomila, “deportati” lontano dai luoghi dove sono nati e hanno costruito la loro vita. Il poi è di chi è rimasto, per non abbandonare la terra lavorata, gli animali, con l’idea di far rinascere Amatrice, Accumuli, Arquata, Preci, Matelica, Tolentino, Camerino, Norcia, Castelsantangelo, Ussita, Visso. Il poi è l’onestà di previsione dei sismologi. Il loro responso, pure nella cautela dettata dalla consapevolezza di margini di imprevedibilità, dice che il futuro degli insediamenti abbarbicati sulla dorsale appenninica fratturata è di nuovi probabili fenomeni di pari o addirittura maggiore intensità, oltre quel 6.5 della scala Richter che ha raso al suolo case e monumenti, chiese e fabbriche. Il poi è nell’impegno collettivo ad alleviare i disagi delle popolazioni colpite, a operare nel minor tempo possibile per restituire alla gente dell’Italia centrale case antisismiche e quanto era parte del suo patrimonio artistico, delle storie precipue di ciascuno dei 200 comuni violentati dalle spallate del terremoto. Il poi è nella domanda che nessuno si pone in risposta al pericolo che ricostruire Amatrice, Accumuli e gli altri paesi ridotti in macerie negli stessi luoghi li espone a nuovi pronosticati eventi distruttivi. La spia di questo pericolo l’ha fornita l’ultima scossa, la più violenta, a dimostrazione che il fenomeno non solo è tutt’altro che esaurito, ma che potrebbe ripetersi con identica o maggiore intensità. Scongiurare questo rischio è nell’auspicio generale, ma riflettere su modi e luoghi della ricostruzione è un dovere morale, da condividere con chi tenacemente chiede di tornare a vivere dov’è nato.
Luciano Scateni