Negare il diritto fondamentale dello sciopero, a tutela dello status di lavoratori, è roba da tirannia ottocentesca di “padroni” sfruttatori. L’imprenditoria del nostro tempo è lontana da quella forma di schiavitù protetta dalle gendarmerie dell’epoca, anche se di recente l’attacco alla classe operaia si è consumato con la cancellazione dell’articolo 18 del loro statuto. Colpa del governo in carica e in parte dei sindacati che l’hanno subita senza erigere barricate per contrastarla. Ora succede che l’inestimabile patrimonio della Pompei sepolta dal terremoto del 79 dopo Cristo, unico al mondo, sia finalmente nella promettente fase di valorizzazione che dovrebbe moltiplicare esponenzialmente il numero annuale di visitatori, grazie alla managerialità positiva del nuovo sovrintendente. Tra gli esiti della nuova direzione lo straordinario successo delle installazioni tra gli scavi delle gigantesche e suggestive opere del grande scultore polacco Mitoraj e il progressivo recupero alle visite di ville via, via, restaurate. Certo, è solo l’inizio di un’operazione complessa che dovrà essere condivisa dall’intero territorio in termini di ricettività alberghiera all’altezza del compito di ospitare al meglio il turismo culturale, di servizi, logistica, viabilità protetta. Non può mancare l’impegno del personale degli scavi, quasi certamente da integrare con nuove immissioni, ma neppure un patto sindacale che nel rispetto reciproco di diritti e doveri definisca le modalità delle assemblee dei lavoratori. Di tanto in tanto la cronaca riferisce di intollerabili disagi dei turisti in visita agli scavi, lasciati per ore fuori dai cancelli d’ingresso per l’assenza del personale impegnato in incontri sindacali. L’ultimo episodio è firmato dalle sigle dei sindacati autonomi Fip e Unsa. Hanno convocato un’assemblea per la prima domenica di Febbraio, giorno di grande affluenza per l’ingresso gratuito come in tutti i musei e i siti archeologici. E’ improprio il sospetto di una ripicca per la conflittualità delle sigle sindacali in questione con il sovrintendente Osanna che in un’analoga circostanza fece aprire i cancelli anche se incustoditi? Il 5 Febbraio, questo è certo, non sarà possibile visitare alcuni siti degli scavi, in mancanza di personale.
Il tormentone canoro
Sanremo: è molto vicino il pericolo di rigetto della kermesse canora nazionale causato dal tamburellante spot televisivo che la Rai impone ai suoi abbonati con la voce stentorea di Carlo Conti. Il conduttore, direttore artistico del festival e di Radio Rai, annuncia al mondo che “Tutti cantano Sanremo”, con il supporto di animali che sembra pronuncino la frase muovendo la bocca (immagini colte con astuzia mentre masticano il cibo). Sono noti alcuni compensi dei cosiddetti ospiti. Il comico Crozza metterà in tasca centomila euro (duecento milioni delle care e vecchie lire), Mika, Ricky Martin e Tiziano Ferro cinquantamila. E Zucchero? Non si sa. Il solo gratis è di Maria De Filippi compensato dalla certificazione di indiscussa star televisiva con il trionfale ingresso sul palco dell’Ariston. Al Carlo Conti asso pigliatutto degli show televisivi, la Rai riconosce la sommetta di 650mila euro, 100mila più del 2016 (1 miliardo e trecento milioni in lire). Dell’Orto, direttore generale dell’azienda, placa i contestatori e afferma che la cifra è comprensiva di altre prestazioni dell’abbronzatissimo conduttore. Gli rivolgiamo una domanda, come definirla, generazionale. Era proprio obbligatorio rimettere in campo un ottantenne qual è Pippo Baudo (show della domenica di Rai1) e per il calcio il vegliardo Bruno Pizzul? Nessun giovane stipendiato Rai all’altezza del compito?
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