Il tema: “Come aver la meglio sull’Udinese e mantenere due punti di vantaggio sull’Inter che preme a ridosso degli azzurri”. Svolgimento: alla brutta copia del Napoli riesce in novanta minuti più tre di recupero, scritti con sciatta grafia. La dinamica dell’uno a zero marca con evidenza il disagio di Insigne e compagni. E però, Maggio, in proiezione su un rinvio errato dei bianconeri di Oddo, subisce il contatto piede-piede di un difensore. Di Bello punta l’indice sul dischetto del rigore. I quattromila napoletani dello stadio Friuli osservano Jorginho con l’ottimismo della ragione (ne segnati cinque su cinque tentati). L’italo brasiliano sparacchia un tiro fiacco, nettamente nel lato della porta dove Scuffet si è tuffato d’istinto. Il portiere bianconero, che non è erede di Yashin, immenso paratutto russo di qualche decennio fa, benché graziato dalla debole conclusione, ribalta a suo svantaggio l’errore del regista napoletano. Presa difettosa, pallone vagante. Jorginho, grato per il regalo, ribatte in rete. E’ il minuto 31 e gli uomini di Sarri, irriconoscibili, ricevono in dono dalla dea Partenope il pass per una vittoria sofferta e con un relativo sforzo da par condicio, quasi immeritata.
E’ materia per gli statistici il conto preciso dei passaggi imprecisi, lo zero in condotta del giro palla asfittico, arma abitualmente letale, le decine di passaggi fuori fuoco, da dimenticare in fretta, una condizione fisica mediocre e il per nulla scandaloso pari e a patta tra Napoli e Udinese.
Che accade? Deficit di concentrazione, avversaria sottovalutata, imprevista baldanza udinese, caricata dalla grinta di Oddo, mancanza di stimoli, da disistima dell’avversario? Forse, voglia e necessità di riposo, una sosta sotto la tenda ad ossigeno, per riprendere fiato e tono muscolare?
Nessun dubbio, dopo gli ultimi test da sforzo gli azzurri (i titolarissimi) sono come limoni già spremuti e non hanno succo da offrire prima di aver smaltito ritmi serrati di sforzi fisici e mentali. Il primo tempo del Napoli è scialbo, insipido, di scarsa o nulla pericolosità. Mertens da smarrito lo smalto dei tempo migliori. Da due o tre partite è completamente impedito a inventare azioni folgoranti e gol dalla morsa che gli allenatori avversari ottengono con i difensori centrali; le magie di Callejon sono un labile ricordo di giorni migliori, perché tutti oramai conoscono a memoria i micidiali cross da sinistra sui suoi piedi; su Insigne si concentra l’impianto difensivo delle avversarie e il suo schema “finta a sinistra-conversione a destra-tiro a giro nel sette più lontano” è neutralizzato con raddoppi asfissianti di marcatura. Insomma, così non va e i test a venire, primo il prossimo con la Juve, sono l’emergenza a cui Sarri deve rispondere in fretta. L’infortunio di Ghoulam è un’appendice del problema che la possibile conferma di Strinic avebbe risolto senza danni. Urge un’invenzione tattica da opporre agli allenatori di squadre così, così, catenacciare con dispositivi da indietro tutta.
Vana la speranza di vedere il Napoli di sempre in the second time. Urla al vento di Sarri che vede un Napoli in fotocopia, per legittimi segnali di stanchezza. Pericoli reciproci zero. Al 98° allegria del tifo napoletano, ma contenuto, grande, sonoro respiro di sollievo dei napoletani sulle gradinate, Sarri a testa china negli spogliatoi. Il mago del gioco spumeggiante esibito in Italia e in parte all’estero, deve riflettere, magari scorrendo i giochi della settimana enigmistica, che allena la mente.
Luciano Scateni
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