Ipotesi. Milano, medaglia d’Oro della Resistenza, 25 Aprile 2019, Piazzale Loreto, dove Mussolini fu giustiziato. I centri sociali festeggiano con una manifestazione non autorizzata la storica data della Liberazione dal nazifascismo, con striscioni e slogan contro il maledetto Ventennio e chi lo ha cavalcato con le disastrose conseguenze vissute dagli italiani. La polizia in assetto anti guerriglia interviene e disperde i manifestanti: cariche, lacrimogeni, cannoni ad acqua. Intervento legittimo? Diciamo di sì per comodità di ragionamento e trasformiamo la falsa notizia iniziale nella pagine di cronaca che ha raccontato il raduno fascista, proprio in piazzale Loreto. Un manipolo di tifosi laziali, di quelli che impunemente si rendono colpevoli di apologia del fascismo nel loro stadio e in trasferta, si schierano dietro un sinistro striscione che a caratteri cubitali inneggia al duce “Onore a Mussolini”, mantenuto con una mano da una settantina di neofascisti. Con l’altra rispondono con il braccio teso all’invito del capo banda: “Camerati”, “Presente”. La scena si svolge sotto gli occhi dei milanesi e non c’è neppure l’ombra di un poliziotto nei dintorni. Da giorni era allerta per l’invasione dei tifosi laziali, dichiaratamente fascisti. L’alibi dell’imprevedibilità si smonta facilmente. L’Italia assiste passivamente al crescendo di provocazioni di gruppi che sfidano la legge e la Costituzione, tutelati dal populismo di Salvini (non ha partecipato all’evento del 25 Aprile), che alimenta l’odio sociale propagato da Forza Nuova, Casa Pound, dal neonazismo di Dodici Raggi, Azione Frontale, Avanguardia Nazionale, dai loro seguaci che si annidano negli stadi di mezza Italia, a Roma, Verona, Varese, Bergamo e di recente perfino a Bologna. Le denunce non mancano, ma latitano le conseguenze giudiziarie, che negano si tratti di apologia del fascismo. La legge che la punisce c’è, a firma di Scelba. Salvini prova deviare l’attenzione dal valore politico del 25 Aprile e gioca sporco. “Ora è tempo di lotta alla mafia” e decide di festeggiare a Corleone. E’ un bluff, da furbetto. Sottovaluta il dono della memoria, di chi l’esercita e gli ricorda la calorosa accoglienza di Rossano, terra dove la mafia non è proprio estranea.
Ministro della Giustizia Bonafede, se ci sei batti un colpo o dovremo difenderci di nuovo da manganellate, olio di ricino, carcere, epurazioni.
Il ricatto è anche un’odiosa forma di “pressione” esercitata tra soggetti in conflitto. Per semplificare il concetto: “Mia moglie mi fa le corna? Io le faccio a te con tua moglie”. Le corna, nel guazzabuglio che vede agitarsi con pari velenosità i due soci del governo gialloverde, hanno un nome un cognome. Salvini, lancia in resta, attacca il punto debole del maniero dove s’annidano i Cinquestelle, il disastroso bastione dove si ripara l’inetta sindaca di Roma e riduce a zero, o giù di lì, il ‘salva Roma, Di Maio, in tandem con il premier ricambiano tenendo sotto attacco il sottosegretario leghista Siri, indagato per corruzione e in sospetto di relazioni, seppure indirette, con soggetti contigui alla mafia.
Luciano Scateni
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