Nessun dubbio, prima ancora del ciclone Trump, che minaccia di abbattersi su mezzo mondo, la priorità per il nostro Paese è tutta in un numero, impressionante se aggiunto alla parola povertà. Undici milioni di italiani affidano la salute all’imponderabile e alla fatalità del proprio destino. Non si curano più, impossibilitati a sostenere l’onere di analisi, medicinali e interventi chirurgici non urgentissimi. Complica la vita degli ammalati il gap che differenzia a favore del Nord la qualità del servizio sanitario nazionale nel Sud del Paese. Un esempio: perché la cronaca racconta solo di ospedali del napoletano costretti a ricoverare i pazienti su barelle nelle corsie, notizia ricorrente sul più grande ospedale del Sud, il Cardarelli o, caso estremo, in terra nei corridoi, com’è accaduto nell’ospedale di Nola? Come giudicare i gravi disagi di pazienti da operare o che necessitano di indagini particolari che finiscono in coda a liste di attesa di molti mesi e perfino di anni? E’ ancora legittimo andare fieri della qualità dell’assistenza sanitaria italiana? Ma poi, quanto costa al Paese la mancata tutela della salute degli indigenti che non possono curarsi e sono perciò destinati a onerose spedalizzazioni a lungo termine? Che la tragedia delle povertà non sia nell’agenda dei governi di diverso colore politico è più che evidente e solleva la questione di fondo sulle loro inique priorità: i miliardi destinati a salvare le banche sono giustificati con la protezione dei risparmiatori, ma nascondono anche la discutibile solidarietà con gestioni evidentemente colpevoli di dissesto per incapacità del management; è scandalosa la resistenza della casta a tagliare i costi della politica, delle remunerazioni milionarie di manager pubblici, gli sprechi del sistema bipolare di Camera e Senato, le inutili province, il fallimentare Cnel. Inerzie a proprio vantaggio che contribuiscono alla giusta rabbia di quanti finiscono nella grande sacca della povertà. Insomma è allarme sociale, ma l’Italia sembra appassionarsi alle polizze assicurative intestate alla Raggi da Romeo, al quale la sindaca ha riservato un gran salto di carriera e di remunerazione o all’altalena di consensi per i burattinai dei partiti descritti periodicamente dai sondaggi d’opinione in termini percentuali.
Non vedo, non sento, ma parlo, cioè “A mia insaputa”
Dicono tutti così: “E’ successo a mia insaputa” e alla frase auto assolutoria si adegua anche la sindaca di Roma. A una normale intelligenza, sembra plausibile che Romeo abbia stipulato le polizze a favore della Raggi senza comunicarglielo con un classico esempio di captatio benevolentiae in previsione della nomina dell’elezione a prima cittadina? E poi, perché nella causale la frase motivazioni affettive che legittimano sospetti su legami sentimentali e non semplicemente la parola asettica “regalo”? Cosa nasconde il dispetto della Raggi racchiuso nella frase “Ho sbagliato a fidarmi” riferita a Romeo promosso responsabile della sua segreteria e gratificato con lo stipendio triplicato, se non che con quella causale l’ha messa in un guaio etico?
Il papa scomodo
C’era da aspettarselo, era facile pronosticare che i nemici interni di Papa Francesco sarebbero andati all’attacco delle sue riforme. La capitale si è svegliata con una sgradevole sorpresa e la rabbia di non poter incolpare i responsabili. Sui muri, nel centro vitale di Roma, nottetempo ignoti hanno affisso un manifesto che mostra papa Bergoglio con un’espressione opposta a quella abituale di serenità. Il suo volto nell’immagine che correda la scritta è di forte perplessità. Il sospetto che dietro all’anonimato degli autori si nasconda la quota del clero più reazionaria e conservatrice è avvalorato dal testo che gli addebita di aver commissariato Congregazioni, rimosso sacerdoti, decapitato l’Ordine di Malta e i Francescani dell’Immacolata, ignorato i Cardinali. Manca la firma, ma si può supporre che dietro l’attacco al pontefice vi sia l’establishment di uomini della Chiesa contrari alla pulizia morale di papa Francesco, alla sua inedita e rigorosa sobrietà sconosciuta al clero, alle epurazioni di pedofili, di responsabili dello scandalo Ior, degli oppositori della mano tesa ai divorziati, agli omosessuali, agli immigrati. Chi volesse scoprire da che pulpito è partito l’input a discreditare il papa può farlo e la strategia investigativa è tra tante la ricerca della tipografia che ha stampato il manifesto: su mandato di esponenti del Vaticano?
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