Parla a vanvera chi della Rai ha percezione dal divano di casa, contento o no di quanto propone ai suoi utenti o chi siede nelle poltrone dei piani alti di viale Mazzini, prigioniero delle dinamiche nepotistiche interne all’azienda, delle centrali direzionali che contano sul potere riflesso delle icone televisive emanazione de partiti. Altrimenti sarebbe misterioso l’allucinante assioma della tesi “senza i volti celebri” la concorrenza è impossibile. Tutto nasce dalla legge sull’editoria che imporrebbe di retribuirli con cifre massime di duecentoquarantamila euro. “Ce li ruberebbero Mediaset e La7” lamentano i vertici Rai, con enfasi terroristica . Fingono di non conoscere il patrimonio di professionalità che con banali operazioni di valorizzazione sarebbero in grado di proporre in tempi rapidi come successori di Baudo, Vespa (contratto da 1,8 milioni) , Giletti e Clerici (500mila), Fazio (2 milioni). Le controprove si sprecano. E’ dimostrato dalla storia della Rai che chiunque sia dotato di qualità televisive, se proposto ripetutamente e in fasce di grande ascolto, dopo poco diventa “volto celebre”. A Dall’Orto e agli staff dei direttori delle Reti sarebbe sufficiente un’indagine interna accurata per scoprire giornalisti, gente di spettacolo o all’esterno da retribuire con i citati 240mila euro, che bruscolini non sono. Non andrà così e la legge che fissa questo tetto di compensi sarà aggirata, ci si può scommettere, perché anche la Rai è parte del Paese di Pulcinella.
Calcio batte 5Stelle 1 a 0
Si è concluso con la netta vittoria del populismo calcistico il ping-pong che ha consentito ai media di riempiere senza sforzo pagine e pagine. Lo stadio della Roma si farà a Tor di Quinto, a dispetto della logica, dell’allarme per un’area a rischio idrogeologico e dell’irragionevole priorità concessa alle bizze della Roma, alle fibrillazioni degli ultra e alla libido di parte dei grillini che contano di tradurre in consenso partitico l’euforia del tifo giallorosso. In Campidoglio, alle prese con i disastri della capitale, si sono arresi all’incredibile ricatto del proprietario della Roma, l’americano James Pallotta, al suo “Se non si fa lo stadio Tor di Quinto dovremo dar via i nostri migliori calciatori”. Ha vinto e i mugugni di pentastellati contrari all’operazione è stata zittita dal “comico” genovese con l’abituale piglio del despota.
Il mini stadio del presidente
Lo “spettacolo si replica a Napoli, dove l’ormai palese tirannia di De Laurentiis muove su più fronti. Mal digerita la sconfitta di Madrid (contro la squadra campione del mondo) il proprietario del Napoli ha praticamente tacciato da incompetente, con sgradevole pesantezza, il tecnico Sarri e gli ha imposto di impiegare il centravanti Pavoletti, che a giudicare dalla gara con il Chievo ha confermato di essere lontano da un inserimento proficuo nel gioco degli azzurri. A proposito di stadi, De Laurentiis polemizza con toni duro con il sindaco De Magistris e minaccia “Trovo il terreno dove costruirlo. Costruire cosa? L’idea decisamente discriminatoria, cioè razzista e manifestata a più riprese, ipotizza una struttura per soli ventimila posti, a prezzi compatibili con portafogli molto gonfi, che taglierebbero fuori la gente della curva B, cioè l’intera presenza popolare di tifosi storici. Cosa ci piace? Il crescente successo sportivo della squadra multietnica Afro-Napoli United che ha sbaragliato tutti gli avversari e vinto il campionato AICS. Questi ragazzi, emigrati da terre in guerra e senza futuro, sono la faccia buona di uno sport che muove fiumi di denaro e lo snatura. A comandare la danza miliardaria sono i petrolieri arabi, magnati Usa e da ultimi, ma solo cronologicamente, i nababbi cinesi in competizione con il resto del mondo per accaparrarsi i migliori calciatori, alzando a cifre stratosferiche le offerte all’asta del mercato internazionale.
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