Domenica 15 Luglio, ore 9.30, aereo delle 11,25, on line “già fatto”. Traffico scorrevole. Due ore prima, in anticipo abbondante, dritti su Capodichino: una volata, la tangenziale di domenica a metà luglio è scorrevole. Venti minuti e siamo nel piazzale dell’aeroporto che gloria agli inglesi della BBA e della Gesac è lo scalo numero in Italia per strutture di identico movimento passeggeri. Qualcosa mi dice che ha ragione il tassista. E’ una sfida persa trovare lo spazio per parcheggiare, per scaricare bagagli e passeggeri in partenza, che si scontrano con la fiumana di chi è appena arrivato. “Dottò, è un’invasione. San Gennaro ha fatto ’o miracolo, stammo chini e turisti”. Entrare nello scalo è impresa da rugbista maori. Spintoni, trolley che ti sgambettano, torme di studenti esuberanti con al seguito madri, padri, nonni in apprensione per la prima gita oltre confine dei pargoli. La bolgia dantesca è cosa da dilettanti. Il display dice chek in Roma gate 33 e ci crediamo. Il serpentone in fila per accedere alla postazione Alitalia, dove ricevere la carta d’imbarco e affidare il bagaglio, procede venti centimetri per volta ogni tre, quattro minuti e chi sa fare di conto ne deduce che gli ultimi, cioè noi, arriveremo alla meta quando il nostro jet avrà compiuto il tragitto aereo Napoli-Roma e sarà in atterraggio a Fiumicino. Panico, accenni di svenimento, sali. Quando il pensiero vola al biglietto Roma-Malaga in forse, il sudore freddo, a dispetto dei 32 gradi del termometro e dei 40 percepiti, corre lungo la schiena. Ma “faccia ‘ngialluta”, ovvero san Gennaro, ripete il miracolo del 19 settembre e s’incarna in un’avvenente hostess di terra Alitalia, che con felice senso pratico devia parte del flusso verso uno sportello aggiunto, dove dirotta chi ha fatto il check online. Noi. Finisce l’odissea? E’ appena iniziata. Ai controlli chiedono di togliersi le scarpe, l’orologio, un anello eredità di famiglia, di spogliare il computer della custodia in tessuto. “Braccia larghe, palpeggiamenti, sperando che il controllore non sia gay e, avessi nascosto dietro la schiena la classica colt, una bomba mano, chi l’avrebbe scoperto se l’addetto alla sicurezza non ha esteso il rapido tuca-tuca alla mia schiena? In compenso apre la borsetta trasparente che contiene farmaci e rovescia ogni cosa davanti a sé. Dice che è tutto ok, ma non suppone che nello scatolo dei lassativi potrebbero esserci ovuli di droga e non supposte di glicerina. Boh? Raggiungere il gate di pertinenza il C17 ci mette in concorrenza con il Tomba dei tempi suoi, con slalom tra passeggeri che vengono e vanno, vetrine con ogni genere di alimentari, liquori, swatch, collane e altri orpelli femminili, cosmetici, bar, baretti, fast food, cianfrusaglie, tutto free tax, per modo di dire. Il C17 richiede buone gambe e ginocchia salde per raggiungere con tre rampe di scale l’incompiuta proboscide di accesso all’AZ A70 e il tratto di pista che separa dalla scaletta della compagnia di bandiera. Il jet romba ma non si muove. In fila, in attesa dell’ok dalla torre di controllo ci sono sei aerei di sconosciuti gestori, con la coda dipinta da estrosi artisti.
“Signori e signore, lieti di avervi a bordo…ci scusiamo se la brevità del percorso non consente il servizio di bibite…” Il pensiero corre a qualche decina di passeggeri che sono arrivati al banco del check in. Sono rimasti a terra, li hanno dirottati su un volo successivo, alcuni sono quelli che entrano trafilati nel nostro nell’AZ A70 e motivano il ritardo della partenza?
C’è tempo per pensare alla morale della favola: Napoli conosce una nuova dominazione, ma con il segno più-più. Provate a passeggiare in via Toledo, dovrete farvi largo tra una marea di francesi, spagnoli, giapponesi e cinesi. Affacciatevi sul golfo, dove yatch lussuosi, barche a vela da traversata oceanica, sostano in numero a due cifre, cercate un B&B che non esponga l’esaurito, un tavolo al ristorante senza aver prenotato, un posto sull’aliscafo Napoli-Capri nelle ore di maggior affluenza sulle banchine di Mergellina e del molo Beverello…Mission quasi impossible. Nonostante i servizi pubblici di trasporto di discutibile affidabilità, un bel po’ di caos nel centro storico e gli antichi e nuovi difetti della città, Napoli è da mesi mèta del turismo di massa. Certo non compensa la deindustrializzazione che fatto tabula rasa della classe operaia e di attività produttive indispensabili per l’equilibrio di una metropoli, ma che sfizio saper di presenze multiculturali e multietniche che Napoli accoglie al meglio, con quel che ha. Per esempio con il aeroporto bello e affollatissimo.
Luciano Scateni
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