E’ notte fonda per chi crede o spera di stringere la mano, o chissà il tentacolo robotico di un alieno incontrandolo a metà strada tra l’infinita pochezza della Terra e un mondo che vaga nell’immensità dell’Universo. E’ lontana l’alba del giorno sognato dall’uomo qualunque, da astronomi e filosofi del possibilismo, in cui l’infinitesimale essere che popola il nostro pianeta avrà cognizione del perché la vita nell’infinito dello spazio. Per esserne certi basta scegliere una notte stellata e starsene supini sulla sabbia di una spiaggia lontana dalle luci di centri abitati, per navigare con il pensiero nel buio totale, interrotto mille volte dallo scintillare degli astri nella volta del cielo, ma di un suo ridottissimo segmento. La visione del firmamento in soggetti sentimentali induce a sogni romantici, altrimenti è smarrimento, panico, consapevolezza di transitare nel cosmo in dimensioni da microscopio. Cercando con gli occhi il disegno dell’Orsa Maggiore, chi non si è chiesto se è sostenibile l’idea esclusiva della vita sulla Terra che abitiamo o di quanti miliardi di altri pianeti ruotano nello spazio senza confini dei cieli. Il mondo esulta per l’impresa firmata dalla Nasa, coordinata dall’Università belga di Liegi, la scoperta di una galassia che per ora comprende sette pianeti confrontabili con il nostro, sei caratterizzati da un clima temperato. Sembra che sia il sistema planetario più grande scoperto finora. Peccato che Trappist-1, così è stato battezzato, sia distante 39 anni luce e che un solo anno luce corrisponde alla cifra da svenimento di 9.500.000.000.000 chilometri. Riusciranno i nostri eroi, ovvero i centri spaziali come la Nasa, ha inventare una iper astronave che viaggi a trecentomila chilometri al secondo? Se questa non è utopia, quale? Per il momento è realistico immaginare un luogo del nostro sistema solare dove con adeguati aggiustamenti, climatici e non solo, si riproducano possibili condizioni di vita per noi umani. Marte?
Fatta la legge (n.194), subito l’inganno
Non solo la Chiesa, protervamente rinchiusa in steccati dogmatici miopi e anacronistici: a frenare la conquista sociale dell’autodeterminazione c’è una quota ancora consistente della politica italiana che cerca consensi elettorali e ragioni di sopravvivenza nel bacino di italiani che scelgono con la testa del parroco. Materia del contendere è questa volta l’aborto terapeutico, regolamentato dalla legge 194, scritta per tutelare la vita di donne in gravidanza a rischio per sé e il figlio che portano in grembo. Come dice un motto popolare, fatta la legge, trovato l’inganno. Il mondo bieco degli aborti clandestini, che lucra fregandosene della legge, non ha alcuna intenzione di rinunciare ai profitti illeciti e si rifugia nell’alibi dell’obiezione di coscienza per rifiutare di praticarne nelle strutture pubbliche. Incredibile, ma purtroppo vero: sette su dieci ginecologi si dichiarano obiettori e mettono in crisi le strutture ospedaliere in cui operano. In alcune regioni è praticamente impossibile l’interruzione della gravidanza assistita, in altre le attese sono inconcepibili. Succede che al San Camillo di Roma, dove si praticano oltre 2000 aborti l’anno, gli obiettori sono in stragrande maggioranza, al punto di impedire la copertura delle esigenze. Che fare? L’ovvio. Si indice un concorso per assumere ginecologi, spiegando ai candidati l’esigenza di far fronte alla domanda di aborti dell’ospedale, nel rispetto della legge 194. Apriti cielo. Insorge la ministra Lorenzin, da ligia cattolica, quella delle gaffe di spot promozionali sul Fertility day, protesta la Chiesa, dimentica anche in questa circostanza di non avere titoli per ingerire negli affari italiani.
Luciano Scateni
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