Cambia la testa, il corpo nemmeno se ne accorge e lo status quo ante vegeta beato nel suo terreno incolto, più erbacce che fiori: a contare gli avvicendamenti dei vertici che governano la Rai in viale Mazzini c’è da perdersi, ma peggio è tradurre le innumerevoli presenze in decisioni ottimizzatrici dell’azienda radiotelevisiva. Default. Il tappo che preclude il via alla rivoluzione invocata teoricamente dall’intero sistema politico, ma nei fatti ostacolato da tutti, non salta via dal contenitore su cui da sempre è gravata l’ipoteca dei partiti. Altro che manuale Cencelli: è capillare la spartizione di spazi, uomini di vertice, dirigenti e responsabili dell’informazione, star dello spettacolo, redattori e giù, giù, perfino di manovali e addetti alle pulizie. Il culmine dello sperpero pro domo sua (di destra, sinistra, centro) è platealmente l’abnorme e incoercibile frammentazione delle testate giornalistiche, ognuna con referenti di partiti, potentati economici, ecclesiastici. Ultimi a salire in groppa al cavallo di viale Mazzini sono stati la presidentessa Monica Maggioni e il direttore generale Dall’Orto, quest’ultimo reduce da guai finanziari cosmici in La7. Il presunto deus ex machina proiettato sulla poltrona più determinante della Rai ha fallito clamorosamente e il suo piano per l’informazione è stato bocciato dal consiglio di amministrazione. Punto e a capo. Chi succederà a Dall’Orto e con quale garanzia di autonomia nella rottamazione di un sistema obsoleto, patologicamente avvelenato dall’ingerenza delle segreterie di partito? Niente fa pensare a un alleluia di rigenerazione e chissà che stavolta non la spunti De Bortoli, libero dal veleno che lo ha spinto a imputare Renzi e la Boschi (che l’ha querelato) di non trasparenza per vendicare il mancato incarico, poi toccato a Dall’Orto.
Luciano Scateni
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