Domani, lunedì 27 novembre, alle 10, il Gran Caffè Gambrinus ospita l’incontro dibattito “Giustizia e memoria, trent’anni di verità nascoste”.
Se alla libertà di informazione e al diritto di conoscere la verità fa più danni la censura, l’autocensura o l’aggravante di documenti segretati per nascondere responsabilità istituzionali. E’ la domanda che si fa ogni giornalista democratico se disposto a pagare il prezzo della coerenza è penalizzato senza dolersene, escluso da vantaggi di carriera o remunerativi. E’ un’inezia, ma traslata nel moltiplicatore della sopraffazione generalizzata della libertà di informare, semplifica le dinamiche che regolano il controllo della comunicazione. Era alla guida del Tg1, Vespa, direttore noto per empatia con la destra molto moderata. Nel contatto di prima mattina con la testata mi chiesero di inviare un servizio, tra l’altro senza alcuna implicazione politica. Un’ora prima della messa in onda il caporedattore mi chiese perché non avessi inoltrato anche il testo del servizio. Mi spiegò un esperto di modi d’essere di quel telegiornale che quel fax sarebbe stato sottoposto al responsabile dei rapporti con il partito di riferimento per l’ok alla messa in onda. Ovvio, non ho più collaborato con il Tg1.
Che giornali e comunicazione radiotelevisiva siano cinghie di trasmissione dei partiti è noto e nel dettaglio è storicamente accertata la sintonia politica dei tre canali Rai con chi governa e chi è all’opposizione. Altrimenti perché tre telegiornali, tre radiogiornali, tre troupe sullo stesso accadimento, perché Porta a Porta e il suo politicamente opposto Report?
Cos’altro ispira la linea editoriale di quotidiani come Libero, Il Giornale, la Repubblica, il Corriere, le reti Mediaset e il rosario di emittenti private foraggiate dal network di Berlusconi con la cessione di pacchetti di pubblicità, se non l’amplificazione degli interessi politici dei rispettivi partiti?
L’Italia, ma non solo, è priva del fondamentale contributo all’informazione libera del giornalismo free lance che negli Stati Uniti ha una sua straordinaria consistenza. In quel Paese un redattore indipendente, al top della visibilità conquistata con inchieste e articoli esenti da censura, è parte della coscienza critica del sistema. In Italia le assunzioni sono subordinate all’organicità dell’aspirante giornalista alla linea editoriale (cioè politica) della testata, verificata nel periodo del cosiddetto praticantato.
La ricaduta sui mille misteri che nascondono l’accertamento di altrettante verità, sarà evidente in questo incontro per il lavoro di Andrea Cinquegrani, giornalista “eroe del nostro tempo” che ha indagato e smascherato decine di retroscena di scandali, reati di corruzione, trame eversive, rara testimonianza in Italia di giornalismo d’inchiesta. Questo nobile comparto dell’informazione, oramai è consentito solo ai grandi gruppi editoriali, in grado di sostenere l’onere delle spese legali per la difesa da querele facili dei soggetti indagati, gli stessi che hanno spento una delle voci libere della comunicazione. La Voce della Campania, testata storicamente coraggiosa, ha subito la violenza dei poteri forti e in misura rilevante la subordinazione di parte della magistratura a personaggi dei partiti, di potentari analoghi. E’ di Rita Pennarola la conoscenza in dettaglio di questo ignobile capitolo del nostro giornalismo.
Coraggio da vendere ha fatto di Michel Moore il giustiziere senza paura di una delle mistificazioni a valle del depistaggio americano che ha impedito la verità su episodi divenuti simbolo della disinformazione. Il docufilm sull’attentato alle torri gemelle è un’impressionante atto d’accusa alla versione ufficiale dell’evento disastroso, viziata da semplificazioni di comodo per assolvere responsabilità istituzionali.
Armi decisive per sostenere quel che resta del giornalismo d’inchiesta sono gli archivi delle testate giornalistiche quelli personali. Un esempio probante è il patrimonio di conoscenze messe in memoria di Andrea Cinquegrani e Rita Pennarola. Il problema è che giornali, periodici e informazione radiotelevisiva, fanno ricorso a ricchissimi archivi e fonti telematiche a loro uso e consumo.
Chi ha indotto Milena Gabanelli alle dimissioni, all’esodo dalla Rai? Il chi non è venuto allo scoperto, il perché si intuisce. Le sue inchieste non hanno risparmiato le responsabilità politiche di qualunque segno politico.
Il bavaglio ai grandi temi scottanti della società contemporanea si affida ad omertà imposte o autosancite per molteplici convenienze: copre le trame delle commistioni mafia-politica, stragi, i retroscena del terrorismo. Fanno testo il lato oscuro del rapimento di Moro, gli assassini di Ilaria Alpi, di Regeni, altri che l’incontro ricorderà per dare consistenza al progetto Giustizia e memoria, promosso dalla Camera di Giustizia europea, dalla Voce delle Voci con il supporto di Meridonare.
La domanda a monte di questo incontro-dibattito: ci sono responsabilità del sistema giudiziario, di singoli magistrati e del loro braccio operativo se tanti misteri rimangono insoluti o il controllo blindato della politica è determinante nell’impedire l’accertamento della verità? Chi meglio di alti magistrati può dare risposta a questa legittima richiesta?
E non è certo un caso se relatori di questo incontro saranno Nicola Cioffi, Antonio Esposito e Bruno Spagna Musso, magistrati di cassazione, la giurista Manuela Mazzi e la direttrice della Voce delle Voci Rita Pannarola.
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