L’enfasi a monte degli interessi che girano attorno alla “classica” disputa del Giro d’Italia ha usurpato l’aggettivo “storico” e l’ha incollato all’edizione 2018. Chi ha partorito l’idea di emigrare in Israele per la partenza e le prime tre tappe della competizione ciclistica, non è dato sapere. Che sia una decisione politica è fuori di dubbio. Coincide e non a caso con l’intenzione di insediare il governo di Netanyahu a Gerusalemme.
Gli incroci non si fermano a questa prima considerazione. Alla vigilia del via al Giro il presidente israeliano interpreta il colpo di scena da imbonitore che presume certezza sulle attività iraniane che doterebbero il Paese confinante di ben cinque bombe nucleari di potenza pari all’atomica sganciata dagli Stati Uniti su Hiroshima. Diamo per certo che sia così: quale principio legittima il possesso di armi atomiche per i Paesi di mezzo mondo, Israele compreso, e il veto sull’eventuale dotazione dell’Iran? Non c’è risposta a questa elementare equazione.
La sceneggiata di Netanyahu è senza dubbio tesa a coprire la responsabilità di decine di morti e centinaia di feriti vittime del tiro al bersaglio umano dei cecchini israeliani, ma come dimenticare l’urrà di chi ha colpito un giovane palestinese inerme e lontano dal reticolato al confine con la striscia di Gaza?
L’Occidente ha condannato a ragione le improvvide dichiarazioni di Abu Mazen sul comportamento degli ebrei che avrebbe provocato la strage nazista, ma incredibilmente non le vittime dei cecchini israeliani. E’ un caso se in vista della partenza del Giro da Gerusalemme Tel Aviv ha conferito la cittadinanza israeliana alla memoria di Gino Bartali, che salvò decine di ebrei dalla deportazione?
Chi ha conosciuto il campione, tre volte vincitore della competizione, è certo che a conoscenza delle vittime dei tiratori scelti israeliani e più in generale dell’aggressione al popolo palestinese, avrebbe rifiutato l’onorificenza.
Domani il Giro prende il via da Gerusalemme: non una voce per contestare la “storica” novità della partenza al di fuori dell’Italia. Possibile che nessun corridore, nessun giornalista sportivo, nessuna forza politica italiana, nessuna rappresentanza del pacifismo abbia sollevato dubbi sull’opportunità di questo tributo a un Paese perennemente in guerra d’aggressione?
Il Giro farà Tappa a Montevergine, in Campania. Lì sarà contestato da chi censura la scelta di accreditare Israele assegnandogli l’avvio della competizione. L’auspicio è che alle cronache sportive si affianchino anche voci di dissenso e, per esempio, che al vincitore della prima tappa l’intervista di rito comprenda anche un giudizio sulla partenza da Gerusalemme.
Luciano Scateni
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