Noi italiani abbiamo abiurato alla monarchia e senza rimpianti. Pessima la dinastia dei Savoia, quasi una campionario di soggetti da comics per nulla meritevoli dei privilegi della casta.
Gli inglesi e non solo loro hanno della monarchia l’idea mistica di un’istituzione avulsa dall’umanità non regale, idolatrata dalla maggioranza dei sudditi. Per il britannico medio re, regine, principi e associati per patti matrimoniali sono assimilabili alla deità olimpica di Giove, di sua moglie, figli e parenti più o meno stretti.
Nell’immaginario collettivo i sovrani e il loro sontuoso entourage, vivono nel reticolato protettivo di comportamenti, regole e diversità che li rende astratti, inavvicinabili, esclusi i casi rigidamente codificati di parate e apparizioni televisive. Nessun cittadino di Albione, approverebbe l’ironia degli italiani sui cappelli di estrosa creatività e gli abiti in technicolor e fogge sgargianti di Elisabetta.
Ma gli investigatori del giornalismo rosa-gossip, come disegnano l’intimità della Casa Reale inglese? Fanno la tara alla percezione degli italiani dell’austerità monarchica di Buckingam Palace. Raccontano di matrimoni impuri di principi con comuni mortali (ultimo è di Megan Markle con il principe Harry) di passioni illecite, tradimenti e clamorosi divorzi, episodi tutt’altro che ligi all’etichetta regale. E c’è anche chi si è impegnato a scoprire il largo impiego di soprannomi adottati da esponenti di primo piano della Casa regnante. Per Elisabetta II, giusto per partire dalla cima della dinastia, il nipote William, che aveva difficoltà a pronunciare granny (nonna), l’ha storpiato in Gary. Gan-gan l’ha chiamata il principe George e in seguito le è stato affibbiato il nomignolo di Tillabet. Lady Diana chiamava il figlio William Wombat (animale tipico australiano). Lui più tardi preferì il nome Steve e la moglie Kate in privato lo chiama Babe. Per lei è stato coniato il soprannome Poppet, ma in privato il marito le si rivolge con un lezioso Darling. A scuola era nota come Squeak. L’altro figlio di Lady Diana è stato ribattezzato dalla madre Ginger, ma lui ha scelto per l’account di Facebook Spike Wells. L’ultima arrivata, Megan, è per i reali Tungsten.
Siamo una Repubblica e dunque, senza regine e principi da far rinascere anagraficamente, dobbiamo accontentarci del poco. Una mano, anzi due, le porge il winner della “Champions zoticume, omofonbia, razzismo, xenofobia”, al quale troppi sciagurati italiani hanno permesso di diventare ministro del delicatissimo dicastero degli Interni: al secolo Matteo Salvini. Per lui ho scelto due soprannomi che ritengo appropriati. Il meno graffiante è “Padan autarchico”, a sottolineare l’antieuropeismo, l’esasperato nazionalismo, la vocazione alla secessione, magari racchiusa nell’ambito del triangolo industriale. Il secondo, che decisamente preferisco, tende a ironizzare sulle sue smargiassate da bullo di periferia, da spaventapasseri per i più pavidi italiani: “Ce l’ho duro” esemplifica il bluff di un selfie truccato per darsi le arie di erede del terzo millennio di Benito Mussolini. Poco altro: Bunga-bunga e Primero Silvero per il vizioso Berlusconi, Fassin-Fassino, per il dirigente dem praticante l’anoressia, Bruno Ape, per Vespa, che trae gloria e prebende dal ruolo survoltato di regina di Rai1, e per Alessandra Mussolini, strenua fan del nonno, il nomignolo Salterello della quaglietta, dopo l’abiura del neofascismo e l’abbraccio a Forza Italia. Stesso soprannome per la Santanché, battezzata da Berlusconi e ora cresimata dalla Meloni con il salto mortale in Fratelli d’Italia, forse primo passo per andare a nozze con Salvini. Rimarrebbe fuori Giggino, al secolo Di Maio, ma rimediamo: lo chiameremo Fuori Corso per la defaillance universitaria e la palese inadeguatezza a competere con il Ce l’ho duro. E per Grillo? Nobel in tragicomicità.
Soprannome collettivo per i “filonisti”, temine diffuso tra gli studenti che marinano la scuola. Traslato su chi non frequenta il Parlamento si adatta alla perfezione a Michela Vittoria Brambilla, Forza Italia, alle prese da mane a sera con cani, gatti, tartarughe, serpenti e pappagalli: 0.45% di presenze e 99,86 di assenze alle votazioni. A seguire Piero Fassino, Dem con il 91, 86 % di assenteismo. Dopo di lui Palazzotto di Liberi e Uguali (appunto, uguale), la Meloni, Fratelli d’Italia. Al senato, primatisti del “non ci sono”, per Forza Italia Paolo Romani e Niccolò Ghedini, alle prese con i processi di Berlusconi. Caso limite della Camera è l’assenza totale del velista Mura, 5Stelle, espulso perché dichiaratamente estraneo alle vicende del Parlamento, in quanto “difensore in barca gli oceani”. Anche questa è l’Italia
Ps. E’gradito l’invio via Facebook di altri soprannomi per deputati, senatori, leader politici e affini.
Luciano Scateni
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