Anni addietro, in corso di un pubblico dibattito, la professoressa Civetta, direttrice dell’osservatorio vesuviano, stupì l’attento uditorio in attesa di conoscere un così autorevole parere sul rischio vulcanico nell’area napoletana. “So”, disse con la sicurezza la scienziata di lungo e illuminato corso, “che Napoli teme il risveglio del Vesuvio e fa bene, auguriamoci che avvenga il più tardi possibile, ma sottovalutare l’esplosività dei Campi Flegrei è una colpevole disattenzione, quasi certamente motivata da insufficiente informazione e dalla maggiore visibilità mediatica del vulcano che domina il golfo. L’errore di stima della pericolosità dell’area dove siamo in questo momento può costare cara. Qui il rischio sismico deve preoccupare più che altrove per il suo potenziale devastante”. Puntuale ecco la conferma. Si registrano segni di possibile risveglio e dopo una pausa di 500 anni il livello dei gas che vengono rilasciati dal magma è salito a livelli di criticità, premonitore di un’eruzione. Lo dichiara l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia sulla rivista “Nature”. Si spiegherebbe così la deformazione accelerata del suolo, l’aumento di scosse sismiche e dei gas che incrementano la temperatura delle fumarole nella solfatara. A sostanziare i timori della scienza interviene la consapevolezza che il titolo Campi Flegrei indica uno dei super vulcani più pericolosi del mondo, nato trentanovemila ani fa. Non a caso greci e romani lo definirono “ingresso nell’inferno”. Stupisce che poco o niente risponda alla domanda sui sistemi precauzionali per evitare catastrofi.
Pericolo sottomarino
Per rimanere in tema è segnalato anche il risveglio del gigantesco e pericoloso vulcano sottomarino Marsili. Se eruttasse sarebbero a rischio maremoto Sicilia, Calabria e Campania: le sue dimensioni potrebbero provocare uno tsunami che colpirebbe le tre regioni in meno di 30 minuti. Da questa angolazione e prese per buone le previsioni catastrofiche degli scienziati sul futuro della Terra minacciata dagli insulti delle società che l’inquinano, risulta per lo meno incomprensibile il fatalismo di quanti dovrebbero esorcizzare i pericoli e rifiutano di rinsavire.
Di incompiuta a incompiuta, miliardi al vento
Un marchingegno di statura machiavellica per spillare soldi alle risorse del Paese si propone con il nobile (e ovviamente usurpato) titolo di “opere incompiute”. In vetta agli scialacquatori c’è saldamente la Sicilia con 113 cantieri aperti e mai chiusi, il totale nazionale di opere incompiute è di 838. La Campania, seconda in classifica, ha operato per ridurre le sue quote scandalose di inadempienza e le infrastrutture portate a compimento sono state 90, contro le dodici in precedenza. In Puglia, terza, conclusi i lavori di 91 cantieri, contro gli 81 di un anno prima. Sovrasta ogni altra opera non realizzata la bonifica e la riqualificazione dell’area industriale di Bagnoli, area ovest di Napoli: centinaia di milioni di euro bruciati da gestioni scandalose del nulla. Non è da meno il cantiere eterno della Città dello Sport di Roma, costato finora oltre seicento milioni di euro. Cosa ne resta, oltre al degrado della zona? Lo scheletro della “Vela” disegnata dallo spagnolo Calatrava. Un altro ignobile esempio di sprechi è l’Idrovia Venezia-Padova, canale navigabile di 27 chilometri per collegare le due città venete. Avviata nel 1963, l’opera è in stallo da anni, il completamento supposto e per il 2020, le risorse necessarie oltre 600 milioni di euro. Non meno vergognoso il costo della diga di Gimigliano, nel catanzarese, più grande cantiere del Sud. I lavori a singhiozzo sono costati finora 260 milioni di euro per il 13 percento di lavori eseguiti.
fa tremare di paura l’idea che i governi in carica o che chi li seguirà taglino il nastro augurale del Ponte sullo Stretto: toccherebbe ai nostri pronipoti assistere alla conclusione dei lavori e quanti miliardi di euro sarebbe destinato a ingoiare l’opera faraonica?
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