Ci ho provato. Mi sono interrogato per capire se nel mio fantastico
dell’immaginario prevalgono le analogie o le diversità tra generi che molti giudicano contigui, altri imparagonabili, cioè tra musica classica e jazz, la cosiddetta leggera; tra artisti survoltati da abili ras del mercato che spacciano corbellerie per geniali installazioni e lievitano le quotazioni dei loro “assistiti” con la complicità di critici sollevati dall’analisi di opere di cui possono dire e scrivere quello che gli pare senza tema di smentite. La sublime musica operistica spesso colora di note testi insulsi, sdolcinati, fuori dalle realtà, come la maggior parte dei delle fiction in corso. Il nuovo della musica sinfonica, l’ostica atonale, deve riconoscere la decisa supremazia del buon jazz nella scala valori dell’innovazione. Nota dolente è l’ostracismo snob per la cosiddetta musica leggera. Non c’è dubbio, molto di questo mondo governato da discografici che inseguono livelli modesti di competenza, gusto e capacità critica degli utenti, è paccottaglia, somma di testi pedestri e note scopiazzate qua e là. Durano poco o niente questi prodotti, inseguono fruitori musicalmente ignoranti, sviliscono il mondo abitato da grandi autori di parole e note che si fondono in un esito di livello elevato, testimone del proprio tempo, immagine allo specchio che anticipa l’evoluzione di sentimenti, qualità e negatività della società nelle varianti dettate dall’accelerazione dei mutamenti. Il pianeta della musica leggera è abitato da un’umanità spesso agli antipodi: da meteore senza futuro immesse con evidenti forzature nel sistema discografico, spese in feste di piazza e spot promozionali nelle in televisioni private, tra una vendita di orologi fasulli, tritatutto variopinti ; e da giganti, specialmente cantautori, che scrivono musica sublime. Questi ultimi hanno vita artistica senza fine, parlano la stessa lingua, universale, a generazioni anagraficamente distanti. La loro musica non svanisce obnubilata dal tempo, racconta la storia, i suoi mutamenti e non poche volte quello che chi ha il potere non vuole sia rappresentato.
Un chiarissimo esempio di casa nostra è certamente “C’era un ragazzo, che come me…” scritta da Franco Migliacci e Mauro Lusini, grido esplicito contro la guerra, in particolare quella del Vietnam, argomento tabù per gli americani e i suoi alleati, dunque per l’Italia. Nel mondo della cosiddetta musica leggera irrompono interpreti eccelsi e chiunque ne riconosca lo spessore finisce per considerarli scrittori impegnati, protagonisti del nostro tempo, narratori raffinati, ribelli (rivoluzionari?), voci di scontenti, arrabbiati, contestatori, antagonisti, o semplicemente poeti, nell’accezione che riconosce la qualità di anticipare i tempi e scandirli con parole e musica. In un Paese che tollera male comportamenti critici e contestazioni da sinistra, Dylan è la voce del movimento di protesta americano e interpreta la controcultura del suo tempo. Diventa un mito, attraversa tutte le forme musicali, country, blues, gospel, rock & roll, jazz, swing, spiritual, la musica popolare inglese, scozzese, irlandese.
Il Nobel gli è assegnato con questa motivazione: “Per aver creato una nuova espressione poetica nell’ambito della tradizione della grande canzone americana”. Prima della Svezia è stata proprio l’America contestata da Dylan a destinargli premi prestigiosi: Grammy Award alla carriera, Popolar Music Prize (per la musica equivale al Nobel) , i premi Oscar, Golden Globe, Pulitzer, la National Medal of Arts, la Presidential Medal of Freedom.
L’annuncio del Nobel coincide con l’addio alla vita di Dario Fo ed è impossibile non confrontare i due riconoscimenti. Anticonformisti l’uno e l’altro, liberi pensatori in un contesto politico intollerante, dotati di straordinaria poliedricità: Bob poeta, scrittore, attore, pittore, scultore, conduttore radiofonico, cantautore; Dario scrittore, attore, regista, autore di canzoni dissacranti, antagonista del potere, pittore. Con Bob Dylan il Premio Nobel si riscatta rispetto alle critiche per scelte quasi esclusivamente accademiche. Per atti come questo, di coraggio anticonformista, per fortuna non è mai troppo tardi.
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