Sette anni: è il tempo che le cassandre pronosticano per l’insorgere della crisi matrimoniale. E’ una sentenza popolare, certo, ma affatto lontana dalla realtà di molte unioni che non reggono all’usura della passione di partenza delle unioni santificate. Alla previsione del crac sfugge il “sì” pronunciato nelle urne del 4 marzo da contraenti potenzialmente conflittuali, quali sono i 5Stelle e la Lega. Le loro incompatibilità emergono dopo pochi giorni di convivenza.
Il premier celebrante "telecomandato”, l’anonimo Conte, testimonia la pessima scelta di benedire il sodalizio. In corso di esternazione del programma al parlamento. Tentenna, s’impapina, ondeggia per conciliare la distanza ideologica dei suoi tutori, è impacciato al punto di mescolare i fogli degli appunti e denuncia lo zero in autonomia con la richiesta di permesso al vice Di Maio di rendere noto l’inghippo. “Proprio no”, risponde il suo tutor “te li riordino io”. Purtroppo, non c’è il labiale di “Grazie mio boss”. Neppure una parola all’impronta dell’avvocato prestato alla politica, un’idea esposta a braccio e Renzi ha giganteggia con un je accuse spietato, efficace, devastante, senza il supporto di note scritte. Conte è ospite del G7, tifa per il reintegro di Putin nel consesso dei potenti del mondo, è costretto alla retromarcia dal portavoce Casalino che lo tira per la giacca. L’iniziativa che ha condotto Giuseppe Carneade Conte a Palazzo Chigi non è un incidente della storia. Rappresenta l’Italia di oggi, un Paese che ha come ministro degli Interni un alleato di Marine Le Pen e un vicepremier, che, studente fuori corso, il populismo degli italiani ha portato a sgovernare il Paese.
Non solo Conte. Altri lavorano allo scoperto marcare le differenze interne alla coalizione di governo. Il presidente della Camera Fico, pentastellato, considerato “di sinistra”, contesta Salvini, che dopo la prima gaffe internazionale (“la Tunisia ci manda galeotti”), litiga con Malta, accusata di respingere i migranti con la complicità di navi Ong di varia nazionalità. “Non lo tollereremo a lungo”, minaccia con l’abituale tracotanza e condanna i profughi al naufragio, a morire nel Mediterraneo. Fico risponde con parole di convinta solidarietà per chi soffre, che siano gli italiani poveri o chi fugge da guerre e miseria. C’è altro. Grillo, probabilmente su suggerimento di Casaleggio junior, proclama la chiusura dell’Ilva di Taranto (“ne facciamo un parco archeologico”). Replica Di Maio (“è un’opinione personale, decido io”). Sulla Tav è guerriglia interna alla coalizione tra chi vuole che il progetto sia completato e chi afferma il contrario. Eccetera, eccetera. Per il momento i litigi configurano la tipica separazione in casa. Fin a quando?
Chi l’avrebbe mai detto? L’Italia scivola in ultima posizione nell’area dell’euro, sorpassata perfino dalla derelitta Grecia. A maggio, per l’incertezza sul futuro del Paese e la minaccia di uscire dalla moneta unica, abbiamo bruciato 38 miliardi. La fiducia verso l’Italia degli investitori, non solo stranieri, sembra oggi destabilizzata dai segnali confusi che manda il governo. Il rendimento dei titoli di Stato a 10 anni paga uno spread “tedesco” di oltre cento punti sul Portogallo, di 157 sulla Spagna. Anche questa è l’Italia del dopo 4 marzo.
Quale meravigliosa novità. Di Maio detta la ricetta per cancellare la linea di demarcazione che separa Nord e Sud del Paese. Non è cosa da poco e si deve alla fertile capacità progettuale di figlio dell’Italia emarginata. Il colpo di genio del ministro dell’economia e del welfare è davvero prodigioso. Con sobrie, chiare ed esaustive enunciazioni, Di Maio afferma che per il rinascimento del Mezzogiorno (“a me piace chiamarlo Sud”: beato chi capisce la sottile differenza, ndr) occorrono investimenti (ma va? ndr) e politiche a 360 gradi (ma va?) in turismo, infrastrutture, rinnovabili (altri miliardi, trovati con quale mappa del tesoro? ndr). Una statua in vita, targhe stradali in grandi città italiane, cittadine, paesi, borgate, onoreficenze, lauree ad honorem, nomine a cavaliere e commendatore: non sarà mai troppa la riconoscenza per questo leader maximo, che padre Pio lo protegga.
Luciano Scateni
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