Va bene che farà guai, come definirli, interni al nostro Paese, dal momento che si è cucito addosso il ministero appunto degli interni, ma il crociato della val padana deborda e nel tentativo di ergersi a esecutore puntuale delle cazzate immesse nel contratto di governo, capitolo emigrazione, compie il misfatto di offendere uno dei principali Paesi che s’affacciano sul Mediterraneo, il cosiddetto Mare Nostrum, solo parzialmente nostro. Si dà il caso che la Tunisia ne faccia parte e l’insulto che ha rivolto a quel popolo il truce Salvini lascia intendere quanto sarà duro mantenere rapporti di collaborazione con i nostri dirimpettai (e non solo). Dunque, il giovanotto che condivide con i grillini l’onere di governare l’Italia, ha pronunciato il seguente insulto: “La Tunisia è un Paese libero e democratico, che non sta esportando gentiluomini, ma spesso e volentieri galeotti”. E che pensava il disonorevole ministro, che la nobile espressione rimanesse confinata dalle nostre parti? E’ pure ignorante, nel senso che ignora la diffusione globalizzata delle news. La reazione più che legittima e inevitabile della Tunisia al gravissimo incidente diplomatico? Il Governo ha convocato il nostro ambasciatore. Gli chiederà di dar conto della frase incriminata e ricorderà il ruolo di Paese delle migrazioni che si fa carico del maggior numero di rimpatri, grazie al proficuo rapporto di collaborazione con il predecessore Minniti.
Di che meravigliarsi. Il razzista Salvini va d’amore e d’accordo con lo xenofobo Orbàn e con Putin, potente ras della Russia, che reprime ogni forma di contestazione interna con metodi tutt’altro che democratici e traccia un asse di contiguità con il populismo dei Paesi dell’est europeo, ex Unione Sovietica, con l’evidente intenzione di estenderlo ad occidente, vista l’empatia con il leghista. Per il momento i neo governanti dell’Italia muovono i primi passi come parroci di campagna che predicano bene e razzolano. Dove ci trascineranno è un bel quesito e sembra sempre più debole l’’atteggiamento di quanti, anche tra gli insospettabili, consigliano prudenza: “Lasciamoli lavorare, giudichiamo i fatti, non le intenzioni”. Lasciarli fare? Ecco il caso della Flat Tax. Nel segreto del proprio guscio, anche i più sinistri della sinistra (con reddito medio alto) hanno messo mano con gusto al pallottoliere per calcolare come e quanto sarebbe cresciuto il valore delle proprie risorse economiche con i tagli annunciati dall’incerto tandem Salvini-Di Maio. C’è, che la faccenda su cui la Lega ha costruito gran parte della campagna elettorale, è stata stralciata dalle urgenze dell’esecutivo e la retromarcia, come non bastasse la delusione di chi ci aveva sperato, propone scenari tutt’altro che incoraggianti. Dunque, per il momento, Flat tax nì e con riserva. Un economista paragovernativo dice che partirà dal 2020, un altro dal 2019, uno che sarà applicata alle imprese, un altro anche alle famiglie. Nessuno dei due e nessun altro esponente di governo rivela da dove tireranno fuori i miliardi necessari all’applicazione del taglio alle tasse. Uno dei tentennanti proseliti della Flat Tax è il signor Bagnai, leghista. Solo due anni fa, da oppositore del governo di centrosinistra, ebbe a dichiarare che il calo del gettito d’imposta conseguente alla Flat Tax avrebbe comportato l’introduzione di una tassa sul patrimonio (con il no della Lega) o l’aumento delle imposte indirette (ipotesi involutiva). Che ne dite, come inizio non c’è proprio male e scusate la banalità del riferimento “Il buongiorno si vede dal Mattino”.
Luciano Scateni
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