Guitti. Basta un’occhiata al mitico dizionario Devoto & Oli, per sapere che è termine dispregiativo, attribuito ad attorucoli di scalcagnate compagnie filodrammatiche. Di guitti il mondo ne genera a bizzeffe, a tutte le latitudini. L’Italia sbeffeggiata dal voto del marzo 2018 si è consegnata senza l’onore delle armi alle grinfie di due affamati avvoltoi, spuntati dal nulla del grillismo e dal lascito tossico del comico genovese. La democrazia italica, di verde età e più che imperfetta, si è lasciata ipnotizzare dalla graffiante comicità del Beppe ‘cri-cri’, associato alla surreale e sconclusionata Casaleggio society. Gli inventori del soggetto pentastellato hanno scoperto, un secondo dopo il boom elettorale, che basta turarsi il naso per governare con chi si dovrebbe combattere e per fingere reciproco odio e amore con il Carroccio, hanno ossessionato gli italiani con la rappresentazione di profonda e reciproca disistima, condita di toni a crescente ostilità. Personaggi e interpreti: l’incompiuto, narcisista, eternamente gaio Giggino Di Maio, in permanente competizione con il mestierante della politica Salvini, razzista, xenofobo, omofobo, parafascista. I dioscuri, chiamati a gestire un grande, complesso e ingarbugliato Paese, finiscono a saltellare sul ring, con guantoni pronti a colpire. Assistono alla scazzottatura il popolo del Carroccio e quello pentastellato, la lotta si fa dura. Castore e Polluce rischiano il ko, ma stoicamente proseguono e sono uppercut, ganci ma anche colpi proibiti, sotto la cintura, non sanzionati dall’arbitro del match, al secolo l’avvocato Conte, prestato alla politica, chissà perché. Guitto è l’uno, che inciampa sui congiuntivi (non solo), guitto l’altro che si cimenta nell’arte del trasformismo di cui è maestro Arturo Brachetti. Cambia felpe per incassare consensi: giubbotti di Polizia, Finanza, Vigili del fuoco…I primi round sono tattici, di assaggio, spesi a studiarsi, ma il work in progress del farsi male, i colpi da ko,. non tardano a infiammare lo scontro. Tutto quello che è “sì” per Di Maio è “no” per Salvini e viceversa. La cronaca, offre loro pretesti per tentare il kappa-o. Salvini spara a zero sulla Raggi, Di Maio su Siri, sottosegretario leghista sotto tutela del ministro dell’Interno. Questi ordina la chiusura dei porti, che non gli compete, Lampedusa, incoraggiata dalla filosofia dell’accoglienza grillina, accoglie le navi soccorso e i profughi. È guerra civile su questioni i roventi, Tav, Tap, autonomie regionali, reddito di cittadinanza e flat tax. E’ tregua sul cartellino dei giudici di gara. Non sanziona i cazzotti sferrati da entrambi al povero Tria, reo di aver rivelato quanto ogni economista conosce bene e cioè che non ci sono i miliardi per rendere operativi reddito di cittadinanza e flat tax. Di qui l’annuncio dell’aumento dell’Iva, che Di Maio e Salvini hanno fatto ingoiare al collega di governo per rinviare lo scazzo a dopo le elezioni europee. Non c’è che da sperare in un crescendo di aggressività, magari concluso con un doppio destro al mento, potente tanto da mettere fuori gioco i dioscuri, con conseguente ridimensionamento dell’asfissiante duopolio gialloverde.
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