Ostile pregiudizialmente all’effetto collaterale di Gomorra, in quanto biglietto da visita di Napoli totalmente negativo, sono stato contestato dai lettori entusiasti di Saviano per aver stroncato il libro senza averlo letto. Ovvio, avevano ragione. Sono corso ai ripari e mi sono costretto a leggere Gomorra, che ha ispirato la truce fiction omonima. Confermo quanto ne pensavo prima della lettura.
Questa onesta premessa è utile a capire il commento di un musicista eccelso, qual è Daniele Sepe, al monologo di Favino che ha nobilitato la serata conclusiva di Sanremo, in parallelo con l’esecuzione a due voci, Baglioni-Mannoia di “Fratello che guardi il mondo”, firmata da Ivano Fossati. Identico il tema: l’antixenofobia, la denuncia della disperata evasione dei migranti dalla loro terra, da guerre, dittature, fame, zero futuro. Scrive Daniele su Facebook: “…il monologo non l’ho visto, ma mi sembra di capire che è l’usuale cosa straccia lacrime che si usa a sinistra…Nessun monologo ha mai fermato un celerino, nessuna canzone di John Lennon ha disarmato un cannone e nessun Sanremo salverà l’Italia dall’essere nu popolo ’e strunz”.
Il giudizio di Sepe sollecita altri commenti. Per esempio, un certo Gabriele Di Basilico scrive “Ma che senso ha quel monologo davanti a gente che ha pagato mille euro per una poltroncina?”
Allora, due commenti ai commenti. A Sepe il consiglio di riflettere, intanto dopo aver ascoltato il monologo (Rai play o You Tube) sulle intenzioni di Favino, evidentemente condivise da Baglioni e dalla Rai. In questo Paese che, plagiato dal razzismo di Salvini e fomentato dal neofascismo, si scopre razzista e xenofobo in misura seriamente preoccupante, la visibilità del palco sanremese, proprio nella dimensione nazional popolare che gli si attribuisce, incide nella coscienza collettiva come non accade per la timida fermezza del contrasto democratico a rigurgiti qualunquisti. E’ vero, il monologo interpretato da Favino non ha in sé il potere di opporsi all’onda di autarchia mistificante di Salvini, di spazzare via la melma di Casa Pound, Forza Nuova, Fratelli d’Italia, l’analfabetismo di gente di spicco grillina e di parte degli italiani abbindolati dall’idea che “Però, con Mussolini potevi lasciare aperta la porta di casa senza problemi”, ma ha certamente contribuito nel sostituire a una diffusa ignavia la consapevolezza di un dramma del nostro tempo.
La risposta a Di Basilico richiede due o tre righe, non di più. Il monologo di Favino non ha catturato solo l’attenzione degli spettatori dell’Ariston. Fosse stato così, avrebbe comunque il merito di aver coinvolto “gente” che potrebbe essere colpevolmente disinteressata al tema dell’emigrazione. E però, il “denigratore” in questione finge di non sapere che il messaggio di Favino è arrivato a undici milioni di italiani, altro che alla gente che ha pagato mille euro per assistere al festival nella poltroncina dell’Ariston.
Un riscontro su cui riflettere. Contro il monologo si è scagliato con rabbia e livore il centro destra. Basta poco per capire che il monologo ha colpito nel segno.
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