SCATENI/A Napoli si dice âstevemo scarzeâ, cioè eravamo in pochi
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Articolo pubblicato il: 22/03/2017 15:44:07 Al folto manipolo di imbecilli, nel senso di deficit di pensiero, si arruola con il grado di molte stellette nientemeno che il presidente dell’Eurogruppo, l’olandese Jeroen Dijsselbloem che oltre ad avere un cognome indigesto a noi neolatini, pone una seria questione a quanti lo hanno eletto. “Ma erano a conoscenza di aver votato un razzista?” Il tapino ha dissertato così sull’utilizzazione dei fondi comunitari dei Paesi del Sud Europa: “…non puoi spendere tutti i soldi per alcol e donne e poi chiedere aiuto” . Ci vuole davvero poco a capire che l’Europa a 28 membri è una democrazia a rischio se include Paesi populisti o peggio, razzisti. Il caso Olanda appena citato scoraggia l’ipotesi avanzata dagli specialisti che suggeriscono ai giovani disoccupati italiani di emigrare nel Paese dei tulipani dove l’offerta di lavoro supera la domanda. Ci sono altri luoghi che non coprono il fabbisogno di lavoratori, per esempio Malta (dove l’italiano è quasi una seconda lingua) e la Repubblica Ceca, Austria e Danimarca. In quest’ultimo Paese il drammatico gap italiano della disoccupazione è una categoria sociale sconosciuta. Molte aziende non riescono a coprire la produzione per mancanza di maestranze. Esemplifica il problema Peter Enevoldsen che ha dovuto ridimensionare una commessa di 500mila dollari per mancanza di personale. Il fenomeno è comune a un terzo delle imprese produttive danesi e parzialmente è presente anche in Inghilterra e Germania. L’incredibile di questo “handicap” spetta ad alcune industrie che, per incentivare l’occupazione, hanno aumentato gli stipendi a scapito dei propri utili. In un solo anno oltre centomila giovani italiani hanno detto addio, in parte arrivederci, alla loro terra e in maggioranza hanno scelto di emigrare in Inghilterra, Germania, Svizzera, Francia. Comprensibile, l’Europa è il loro continente, ma il luogo top per costruirsi un futuro garantito, ad unanime giudizio degli esperti, è l’immensa, ospitale Australia e per non poche ragioni. Nel Paese dei canguri la crisi economica è una definizione non sense, sconosciuta, la crescita del benessere è da sempre costante. C’è lavoro per tutti, la qualità della vita e il livello di sicurezza sono altissimi a Melbourn, Perth, Sidney; il sistema scolastico funziona a mille e accoglie mezzo milione di studenti stranieri (diecimila italiani) che partono con il visto “student”. In Australia i ritmi di vita sono antistress, scanditi per godere del tempo libero e in tema di ambiente è ineguagliabile l’alternanza di foreste tropicali e deserti, montagne, spiagge di sabbia finissima e la grande, suggestiva barriera corallina. Sono tutte forti suggestioni per i nostri giovani. Tentano di compensare la frustrazione di un Paese che dal dopoguerra ha vissuto l’incapacità di ottimizzare il potenziale imprenditoriale, turistico e di innovazione in dotazione che avrebbe garantito sviluppo e occupazione. Certo, per la maggior parte dei ragazzi italiani che cercano fortuna nel mondo l’esodo non è drammatico se si confronta con l’emigrazione povera di un secolo fa dei nostri poveri con la “valigia di cartone” ed è imparagonabile alla fuga disperata dei migranti che puntano alla sopravvivenza sfidando la morte su barconi e gommoni con la traversata del Mediterraneo. Ma non è neppure una libera scelta, almeno per molti giovani costretti a cercare altrove il loro futuro. Virginia sciatrice. E’ rassicurante l’immagine vacanziera della Raggi, sindaca capitolina. Occhiali da neve, tenuta da sci, salda impugnatura delle racchette, concentrazione e un’occhiata competente alla pista su cui volteggiare, la prima cittadina di una città sommersa dai rifiuti, oppressa dai problemi dell’immediato e del futuro, gli uni e gli altri in drammatico letargo, si suppone sia portata specialmente per la specialità dello slalom. Lo fa intuire la preparazione pre-sciistica che l’ha vista saltare con maestria le porte d’ingresso nei segmenti più impegnativi del percorso proposto dai mali endemici di Roma. Quando l’Urbe andò a fuoco per la follia di un imperatore squinternato, questi se ne stava beato a cantare “musica carnascialesca”. Dopo un paio di millenni chi ne ha raccolto l’eredità, respira aria salubre di montagna, mentre a Roma bruciano i bus di linea, vecchi e malandati, la spazzatura e il degrado rendono marginale la vita specialmente nelle aree periferiche e importanti sedute di giunta e del consiglio comunale “saltano” in attesa che la sindaca si sia abbronzata sulle piste innevate. Virginia tornerà, prima o poi, e, questo è certo, sfoggerà il solito radioso sorriso Mentadent.