Manca poco alla Rabbiosa esecrazione. Manca poco al ‘crucifuge’, al linciaggio, per fortuna solo verbale di Khvicha Kvaratskhelia, giovane talento georgiano, nazionale del suo Paese mai amato alla follia dai “forza Napoli sempre” e ora non dico odiato, ma certamente privato di stima e accogliente amicizia. Sentimento non condiviso da chi scrive: giù la maschera e un po’ di sano realismo con l’intento di evitare travaso di bile. Kvara e ormai perfino i ragazzi delle giovanili sono attori di contorno, eterodiretti in cabina di regia dai manager. Non decidono del proprio futuro, li assecondano, a loro affidano il futuro prossimo e remoto. Kvara e chi per lui (l’agente, ma c’entra anche il suo papà?) devono aver valutato per mesi l’impasse della trattativa per il rinnovo del contratto e per metter fine al logoramento prolungato, ma anche dopo la scoperta delle qualità di Neres, ha deciso di cedere al richiamo della sirena Psg. I prodromi della decisione potrebbero risalire a qualche tempo fa. Rivelerebbero il perché di prestazioni deludenti del ‘fenomeno Kvara’ e di predecessori (tra gli altri di Allan, Fabian, Koulibaly, Kim, Insigne, Osimhen), per accelerare i rispettivi addii senza rimpianti dei tifosi e della società. Conte ha formalizzato la dipartita da Napoli del georgiano e per ora affida la successione al fantasista brasilero Neres. I calciatori sono liberi professionisti e antepongono gli interessi venali ai sentimenti, non c’è da scandalizzarsi. Vediamo come va l’assalto al Verona, che senza chiedere scusa avvelenò l’esordio in campionato degli azzurri con un umiliante 3 a 0. Stadio Maradona, vento, pioggia, freddo per la prima del girone di ritorno. Arbitra l’udinese Zufferli. Il primo step della ‘vendetta’ napoletana per la sconfitta dell’andata arriva prestissimo, al quinto minuto. Sponda di Lukaku per capitan Di Lorenzo, ormai attaccante aggiunto, che colpisce il palo con un sinistro a giro da sinistra. Il pallone finisce sulla schiena di Montipò e in rete. 1 a 0. Anguissa dopo un minuto si divora il 2 a 0 con una conclusione da dimenticare, fallirà un’altra occasionissima ma si aut perdona con una prestazione di centro campo sontuosa. Prima riflessione. Se una squadra fa registrare oltre il 70 per cento di possesso palla, domina fisicamente e oppone alle avversarie una difesa invalicabile, nessun dubbio, è legittimata a candidarsi per restare in vetta alla classifica fino al the end di questo campionato iniziato malissimo a Verona, con l’incidente iniziale di percorso trasformato partita dopo partita in autostrada percorsa con l’autorevolezza delle grandi. Sfumature a parte, ad esempio qualche difficoltà residua nel finalizzare una mole di gioco imponente, con questo Napoli, anche per merito di eccellenze quali sono un superlativo Rrahmani, l’aitante Anguissa, il geniale, inesauribile Lobotka, il sontuoso capitano Di Lorenzo, l’irresistibile Neres, l’imbattibile Meret, e, ovvio, la maestria di Conte, non ce n’è per nessuno e figuriamoci se ce n’è per il modestissimo Verona, dominato per 93 minuti dagli azzurri, con la sporadica eccezione di un bel colpo di testa di Tengstedt che ha sforato l’incrocio dei pali della porta del Napoli. L’imprevedibile del calcio avviene al minuto 61 della ripresa e si deve allo stesso Anguissa dei gol facili mancati in precedenza. Con una prodezza balistica, da distanza considerevole, mira con un potente sinistro all’angolo destro della porta difesa di Montipò e il pallone gonfia la rete. Gol da antologia, dedicato, braccia al cielo, alla memoria del giovanissimo Daniele, super tifoso che non c’è più. Insomma Napoli avanti tutta, gioco disegnato a memoria, a tratti velocità e pressing da preparazione atletica al top e il solo capitolo del progetto Conte da perfezionare, le conclusioni ravvicinate che non si trasformano in gol. E Neres? I ‘Forza Napoli sempre’ hanno in fretta sostituito Kvaratskhelia con il brasiliano dagli slalom immarcabili. Per non interferire sulla buona, quasi grande ‘bellezza’ degli azzurri, soprassediamo sul rito dei cambi di cui l’allenatore fa man bassa a risultato acquisito per rispetto dei panchinari di lusso e per risparmiare fiato o muscoli degli undici in campo dal fischio di inizio. Per chiudere una curiosità: ma è in lingua di Dante l’espressione più volte usata dal Conte sulla “squadra che sta sul pezzo?” Sembra simile alla domanda “Lei calpesta le formiche?” rivolta di recente alla Meloni da un giornalista.
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